comunicazioni commissioni

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Terreni e quote, perizia doc”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Terreni e quote, perizia doc

I commi 997 e 998, dell’art. 1, della Legge 205/2017 (legge di Bilancio 2018), riaprono l’ennesima possibilità per rivalutare il costo storico di acquisto delle partecipazioni e dei terreni, ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza tassabile, nell’ambito dei redditi delle persone fisiche (non imprenditori) e dei soggetti assimilati (società semplici ed enti non commerciali), di cui all’art. 67, D.P.R. 917/1986 (T.U.I.R.). Sarà quindi possibile l’ennesima rideterminazione del costo dei terreni e delle partecipazioni, con applicazione dell’aliquota unica dell’8% sia per terreni che per le partecipazioni di ogni tipo (qualificate e non). Entro fine giugno redazione della perizia e versamento almeno della prima rata dell’imposta dovuta. Si ripropongono, di fatto, le agevolazioni tributarie introdotte e disciplinate dagli artt. 5 e 7 della Legge 28 dicembre 2001 n. 448.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

Esperti Stimatori – schema richiesta liquidazione compensi a saldo aggiornato

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Constatate le richieste di chiarimento che spesso pervengono dai Colleghi Esperti Stimatori, ritengo opportuno inviare a tutti lo schema in allegato, lievemente aggiornato rispetto a quello già trasmesso lo scorso marzo 2017.

Richiesta Liquidazione Saldo

Cordiali Saluti.

Il Coordinatore Commissione 2 CTU, Conciliazione, Mediazione, Stime
Aravecchia geom. Emanuele
Collegio e Associazione dei Geometri
della Provincia di Reggio Emilia

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Danni pari all’affitto per il box reso inagibile da infiltrazioni”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Danni pari all’affitto per il box reso inagibile da infiltrazioni

Per i danni occorsi a un’unità immobiliare per infiltrazioni provenienti da parti comuni dell’edificio è certamente responsabile il condominio, che su questi beni esercita i poteri di vigilanza e custodia. Il problema è che spesso queste infiltrazioni sono di consistenza tale da precludere l’utilizzo dell’unità immobiliare interessata per un considerevole lasso di tempo e, in tali occasioni, si pone il problema di individuare quali siano i danni patrimoniali risarcibili, in aggiunta a quelli connessi al necessario ripristino dei luoghi. Per dare una risposta a tale quesito si può fare riferimento alla giurisprudenza formatasi in merito all’indennità dovuta al titolare di unità immobiliare per l’ipotesi di occupazione senza titolo. Secondo tale orientamento, il diritto di proprietà ha «insite in sé le facoltà di godimento e di disponibilità del bene che ne forma oggetto» con la conseguenza che «una volta soppresse tali facoltà per effetto dell’occupazione, l’esistenza di un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base d’una presunzione, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l’avrebbe in alcun modo utilizzato» (così dice la Cassazione con la sentenza 9137/2013). Il danno subito dal proprietario viene quindi considerato nel fatto stesso dell’occupazione dell’immobile senza titolo e, pertanto, liquidato in maniera figurativa facendo riferimento al valore locativo del bene (cosiddetto danno “figurativo”). Con la sentenza 4874/2017 il Tribunale di Milano ha ritenuto tale principio applicabile anche all’ipotesi in cui il mancato godimento di un’unità immobiliare a uso box sia dipesa dalle infiltrazioni, copiose e perduranti nel tempo, provenienti dal giardino condominiale. Il danno lamentato è stato ritenuto liquidabile a carico del condominio a prescindere da quanto affermava il condòmino danneggiato, facendo esclusivamente riferimento ai parametri di locazione correnti sul mercato per unità immobiliari di analoga consistenza e pregio. Il giudice meneghino ha altresì affermato che la liquidazione del danno patrimoniale secondo questo sistema escluda la condanna del condominio anche al rimborso delle spese sostenute per l’affitto di altra autorimessa da parte del danneggiato, trattandosi dello steso danno già rimborsato in via «figurativa». Allo stesso modo, nulla può essere preteso per le spese condominiali sostenute nel periodo di non utilizzo del box, attenendo tali oneri al diritto di proprietà, il cui godimento deve ritenersi già interamente ristorato con il risarcimento del danno patrimoniale parametrato al valore locativo dell’immobile.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Iva al 10% sul metano per il condominio”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Iva al 10% sul metano per il condominio

Cambiare fornitore dei servizi elettrici e di riscaldamento è una scelta dell’amministratore per contenere i costi energetici,ma spesso può accadere che non si vigili sulla corretta applicazione dell’Iva. Tale imposta indiretta, che viene assolta dal consumatore finale e in questo caso dal condominio, se non correttamente applicata determina un maggior onere per la collettività. Il Dpr 633/72 indica quali prestazioni di servizio sono riconducibili ad imposta agevolata del 10% in luogo di quella ordinaria attualmente al 22 per cento. Negli edifici a destinazione residenziale, le forniture di energia elettrica per uso domestico sono soggette all’aliquota del 10% come previsto dalla tabelle A/3 parte III al punto 103) del richiamato Dpr 633/72. Per quanto attiene il gas da riscaldamento, invece, il Dpr 633/72, alla tabella A/3 parte III, al punto 127-bis) inserisce la «somministrazione di gas metano usato per combustione per usi civili limitatamente a 480 metri cubi annui» tra i beni e servizi soggetti ad aliquota del 10 per cento. Tale indicazione è stata chiaramente recepita ed applicata per le singole utenze abitative, ma spesso disattesa in quella condominiali. A supporto della pacifica applicabilità dell’aliquota agevolata nelle fornitura di gas da riscaldamento, a servizio di edifici a destinazione residenziale è intervenuta la risoluzione 112/E del 22 ottobre 2010. Con particolare riferimento alla somministrazione di gas metano per usi civili nei confronti di condomìni che utilizzano impianti di tipo centralizzato, la risoluzione n. 108 del 2010 ha precisato che il limite di 480 metri cubi annui, stabilito ai fini della fruizione dell’aliquota del 10%, di cui al n. 127-bis della tabella A, va riferito alle singole utenze di ciascuna delle unità immobiliari che costituiscono il condominio. Conseguentemente, in presenza di un impianto centralizzato, il limite di 480 metri cubi deve essere moltiplicato per il numero delle unità immobiliari il cui impianto di riscaldamento è allacciato all’impianto centralizzato, e al netto di quelle unità immobiliari che eventualmente fruiscano contemporaneamente di un impianto autonomo di somministrazione di gas metano destinato per combustibile a usi civili, per il quale risulta già applicabile l’aliquota agevolata prevista dal n. 127-bis. La risoluzione ricorda che questo principio va applicato in modo da escludere all’origine la possibile duplicazione del beneficio contenuto nel n. 127-bis, pena la violazione della disciplina comunitaria di riferimento.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

 

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Addio all’immobile inutile”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Da “Il Sole 24 Ore”

Addio all’immobile inutile

Il rustico cadente ereditato dal nonno, la piccola quota di un terreno sperduto in un territorio montano, la metà di un appartamento su cui si litiga intanto che le spese aumentano: anche in un Paese che ama più di ogni altro il “mattone” – l’80% degli italiani ha almeno una casa – capita che avere una proprietà o una comproprietà sia solo fonte di guai. Sempre più di frequente ci si imbatte in situazioni di immobili “fastidiosi” per i loro proprietari, non solo perché occorre pagare tasse e costi di manutenzione e occuparsi del loro lato burocratico, ma anche perché producono responsabilità civili (se non penali) in caso di danni a terzi, o sono a rischio sanzioni amministrativo-sanitarie. Si pensi all’albero del giardino incolto che cade su una proprietà vicina o al fabbricato che, a causa di un crollo, investe un passante. Ma se questi immobili risultano invendibili, perché nessuno è disposto a comprarli neppure per un prezzo simbolico, una via d’uscita c’è: anche se l’affermazione sembra strana l’interessato può rinunciare alla quota di comproprietà o alla proprietà e disfarsene. Che cosa succede in pratica? La rinuncia alla quota di comproprietà provoca un’espansione del diritto degli altri comproprietari. La quota di comproprietà, infatti, è da concepire come un diritto sull’intero bene, compresso dalla presenza degli altri comproprietari, cosicché, venendo meno uno di essi, la quota degli altri “che resistono” si accresce automaticamente. Questi ultimi, anche se non gradiscono l’altrui rinuncia non possono impedirla, ma possono a loro volta rinunciare alla propria quota, e ciò fino a quando non resta che un unico proprietario. Anche in questo caso, o comunque quando il proprietario del bene è uno solo fin dall’inizio, l’interessato può rinunciare al suo diritto con l’effetto che lo Stato diventa proprietario senza potersi opporre all’acquisizione. Lo dice il Codice civile, all’articolo 827, anche se in qualche caso l’agenzia del Demanio ha cercato di porre dei dubbi su una prassi che si sta diffondendo e che ha sì l’effetto di “liberare” da costi e responsabilità il cittadino ex proprietario, ma dall’altro lato li accolla in qualche misura alla pubblica amministrazione. Una confortante assicurazione in questo senso arriva da uno studio del Consiglio nazionale del notariato (n. 216-2014/C del 21 marzo 2014), elaborato proprio a fronte della circostanza che, in questi anni di crisi, molti notai sono stati investiti dai clienti della questione di come liberarsi da proprietà non volute. In epoche precedenti, nelle quali le tasse locali erano di minore impatto e il tenore di vita migliore, il problema della proprietà fastidiosa si poneva raramente. Oggi, invece, che molti devono tagliare le spese inutili, anche la semplice chiamata alla cassa per il saldo Imu-Tasi che scade il 18 dicembre può indurre altre riflessioni. E a maggior ragione se l’immobile è solo un peso anche se – come può accadere per gli inagibili – le imposte fossero ridotte. L’operazione-rinuncia, ovviamente, presenta anch’essa qualche costo, che dovrebbe però essere ammortizzato dal risparmio futuro. La rinuncia all’immobile o a una sua parte, infatti, è un atto che si stipula esclusivamente da un notaio che poi lo registra al Catasto. Chi rinuncia paga l’imposta di donazione che varia a seconda dei casi. Nell’ipotesi di cessione del bene allo Stato l’aliquota è l’8 per cento. Se, invece, l’atto accresce la quota di un fratello l’imposta è il 6% del valore con una franchigia di 100mila euro; per cugini e altri parenti è al 6 per cento.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

 

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “La ritenuta affitti taglia l’acconto”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

La ritenuta affitti taglia l’acconto

La nuova ritenuta del 21% sugli affitti brevi, trattenuta dal 1° giugno 2017 dagli intermediari immobiliari e dai gestori dei portali web, riduce gli acconti del 2017, calcolati applicando il metodo previsionale, sia se queste locazioni saranno assoggettate ad Irpef, sia se si opterà per la cedolare secca. Quando questi intermediari versano la ritenuta all’Erario, infatti, non sanno e non indicano nell’F24 la natura della stessa, “in acconto all’Irpef” o come “ritenuta definitiva della cedolare secca”, ma questa natura verrà decisa dal locatore, solo in sede di dichiarazione dei redditi (730/2018 o Redditi PF 2018). Se nel 2017 il regime fiscale di queste locazioni non verrà modificato rispetto al 2016, si potrà ridurre l’acconto (Irpef o della cedolare), applicando il metodo previsionale, mentre se varierà da inizio del 2017, si potrà addirittura non pagare alcun acconto su questi redditi.

Opzione per la cedolare secca. La circolare 24/E/2017 ha chiarito che per i nuovi contratti di “locazione breve”, l’opzione per la cedolare secca con l’aliquota piatta del 21% potrà essere effettuata con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui i canoni di locazione sono maturati (ovvero, se il contratto viene registrato, in tale sede). Si applica quindi la stessa regola già prevista per tutti gli altri contratti di locazione di durata inferiore a 30 giorni, non classificabili tra quelli dell’articolo 4 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 e non soggetti a «registrazione in termine fisso». Per questi ultimi, infatti, il locatore può optare per l’imposta piatta direttamente nella «dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale è prodotto il reddito ovvero esercitare l’opzione in sede di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria del contratto» (provvedimento 7 aprile 2011, paragrafo 1.3.3 e circolare 1° giugno 2011, n. 26/E, paragrafo 1.2).

Storico o previsionale. Sia l’acconto dovuto per l’Irpef che quello per la cedolare secca è pari al minore tra il 100% (95% per la cedolare) «dell’imposta relativa al periodo precedente» (metodo storico) e il 100% (95% per la cedolare) dell’imposta relativa a quello in corso (previsionale) al netto delle ritenute d’acconto subite nel corso dell’anno (oltre che delle detrazioni e dei crediti d’imposta). Quindi, se non vi è alcun cambio di regime per tutti gli affitti brevi dell’intero 2017 rispetto al 2016 (sia per quelli non assoggettati a ritenuta sia per gli altri), gli acconti 2017 con il metodo previsionale, potranno essere ridotti delle ritenute del 21%, trattenute dal 1° giugno 2017.

Cambio di regime. Se, invece, su questi affitti c’è stato un cambio di regime (da cedolare a Irpef o viceversa) si applica la seguente regola generale della cedolare secca (valida non solo per gli affitti brevi), che solitamente interessa il primo o l’ultimo anno di applicazione anche dell’Irap, dell’Ivie, dell’Ivafe e dell’imposta sostitutiva per i contribuenti forfettari o i minimi. Le persone fisiche che durante l’anno hanno optato per l’assoggettamento dei canoni di locazione degli immobili abitativi alla cedolare secca non devono versare l’acconto di questa imposta piatta su questi canoni, perché si tratta del primo anno di opzione. Risulta impossibile, infatti, calcolare l’acconto con il metodo storico (95% dell’imposta dovuta per l’anno precedente), in quanto manca l’imposta dovuta per l’anno precedente. Inoltre, l’acconto Irpef relativo all’anno dell’opzione per la cedolare secca, calcolato con il metodo storico, può essere ridotto applicando il criterio previsionale, cioè considerando che il reddito fondiario relativo ai fabbricati con la cedolare secca, non verrà tassato ad Irpef a consuntivo. In questa ipotesi di opzione per la cedolare, le ritenute del 21%, trattenute da giugno 2017, saranno scomputate dal totale della cedolare del 21% dovuta (anche per gli affitti fino a maggio 2017). Viceversa, se durante l’anno, si è verificata l’uscita dal regime della cedolare secca, sui redditi di questi immobili, maturati a decorrere dall’uscita, non vi è più la tassazione con la cedolare secca, quindi, si può utilizzare il metodo previsionale per calcolare l’acconto per questa imposta, riducendolo (o azzerandolo se non vi sono reddito con cedolare nell’anno, ad esempio, in caso di uscita dal regime alla fine del 2016). Inoltre, non si è tenuti a versare alcun acconto Irpef per i redditi fondiari relativi a questi fabbricati, anche se questi saranno assoggettati a Irpef a consuntivo.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

 

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Deposito prezzo dal notaio, meglio anticipare l’intenzione”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Deposito prezzo dal notaio, meglio anticipare l’intenzione

Deposito del prezzo: istruzioni per l’uso. Il Consiglio nazionale del notariato ha pubblicato sul proprio sito internet, una sorta di vademecum per la corretta applicazione della nuova disposizione introdotta dalla c.d. legge sulla concorrenza n. 124/2017 ed entrata in vigore lo scorso 29 agosto. Vediamo più da vicino di cosa si tratta. Chi compra un immobile si vede esposto al rischio che, tra la data del rogito dinanzi al notaio e la data della sua trascrizione nei registri immobiliari, venga pubblicato su questi ultimi un gravame inaspettato a carico del venditore: un’ipoteca, un sequestro, un pignoramento, una domanda giudiziale, eccetera. Occorre comunque avvertire che questo tipo di inconvenienti si verificano nella pratica assai raramente, perché i notai sono soliti adempiere al predetto obbligo di trascrizione in tempi molto brevi. La legge n. 124/2017 ha quindi previsto che, qualora sia richiesto da almeno una delle parti del contratto, il notaio sia obbligato a tenere in deposito presso di sé il saldo del prezzo messo a disposizione dall’acquirente e destinato al venditore, fino a quando non sia stato eseguito il prescritto adempimento pubblicitario presso i registri immobiliari, con il quale si acquisisce la certezza che l’acquisto si è perfezionato senza subire gravami. Come ribadito dal notariato, si tratta di una tutela facoltativa che la nuova legge mette a disposizione di chi compra casa: in sede di rogito l’acquirente, a seconda dei casi, può quindi optare per avvalersene o rinunziarvi. Nel vademecum si evidenzia altresì come sarebbe opportuno che tale intenzione venisse manifestata dall’acquirente al venditore già prima del rogito, dunque in sede di preliminare, in modo da regolamentare con anticipo la circostanza tra le parti. In ogni caso nulla esclude che l’acquirente possa manifestare l’opzione al venditore anche direttamente in sede di stipula del rogito.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

 

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “Fabbricato non strumentale: il 55% va disconosciuto subito”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

Fabbricato non strumentale: il 55% va disconosciuto subito

Il Fisco non può disconoscere la titolarità dell’ecobonus al 55% quando controlla una delle dichiarazioni successive a quella in cui le spese sono state sostenute. Tanto afferma la sentenza della Ctp di Milano 5397/23/17 (presidente Zamagni, relatore Contini), risolvendo a favore del contribuente il contenzioso tra una società immobiliare e le Entrate. La detrazione del 55% delle spese per gli interventi di risparmio energetico (prevista dall’articolo 1, commi 344 e seguenti della legge 296/2006, di cui è in arrivo la proroga anche per il 2018 con la prossima legge di Bilancio) si è rivelata uno dei benefici fiscali maggiormente graditi dai contribuenti, come dimostrano i 300mila interventi realizzati nel 2017 (si veda il Quadro di sintesi preliminare dei dati del triennio 2015-2017, reperibile sul sito dell’Enea). Nel caso esaminato dai giudici, una società immobiliare aveva sostenuto nel 2009 delle spese per la riqualificazione energetica di alcuni immobili strumentali. Nel giugno del 2015 la società ha ricevuto dalle Entrate una comunicazione di irregolarità, conseguente a un controllo da articolo 36-ter sul modello Unico 2012, con cui si disconosceva la spettanza della detrazione in quanto non era stata documentata la natura strumentale dell’immobile. Tesi bocciata dai giudici milanesi, secondo i quali la verifica dei presupposti essenziali per il godimento del beneficio fiscale va essere attuata dagli uffici fiscali nell’ambito dell’attività di controllo formale della dichiarazione dei redditi dell’anno in cui la prima quota di detrazione viene esposta (nel caso specifico, il 2009, ormai non più accertabile nel 2015). Essendo, infatti, prevista la detraibilità delle spese durante un arco temporale ben preciso e con determinati limiti di quota già prefissati dal legislatore, la non spettanza del beneficio fiscale non potrà che venire accertata con riferimento all’annualità in cui il presupposto dell’agevolazione si è realizzato. Tale preclusione, specifica il collegio, opera solo in caso di mancato riconoscimento della detrazione per l’assenza di un elemento costitutivo del beneficio fiscale e non anche nel caso di disconoscimento della quota parte della detrazione riportata erroneamente nel suo ammontare nelle dichiarazioni successive. Quindi, in relazione a Unico 2012, l’ufficio avrebbe potuto contestare – ad esempio – che era stata riportata una cifra superiore a quella indicata nel modello dell’anno precedente. Sicché la mancata rettifica da parte dell’ufficio fiscale della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il credito è sorto, ovvero si sono verificati i presupposti costitutivi dell’agevolazione fiscale, preclude l’autonoma valutazione della denuncia fiscale relativa all’annualità successiva, essendosi cristallizzato il diritto di credito al momento dell’esposizione in dichiarazione della prima quota di spesa detratta. Si tratta di un principio consolidato in giurisprudenza (si vedano le sentenze di Cassazione 7492/2016, 14805/15 e 9339/2012), che non sempre tuttavia gli uffici applicano alla materia delle detrazioni per il recupero edilizio e il risparmio energetico.

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri 
della Provincia di Reggio Emilia

Com. 8 Condominio, Fisco immobiliare – informa “In centro raddoppiano le case vuote”

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LA COMMISSIONE 8 “CONDOMINIO – FISCO IMMOBILIARE” INFORMA

In centro raddoppiano le case vuote

Per definizione, sono i territori che più dovrebbero raccontare l’identità di un luogo. Invece alcuni centri storici sono, oggi, nuove periferie: porzioni di territorio che perdono progressivamente abitanti, negozi, imprese e persino la sede delle principali istituzioni. Un’emorragia che ha colpito prima di tutto lo stock di patrimonio residenziale, inutilizzato per percentuali pari anche al 40%. Con perdite di valore stimabile (se proiettate sul territorio nazionale) in alcune decine di miliardi. A fotografare il trend, di attualità nei giorni della legge cosiddetta salva-borghi, è una ricerca condotta da Ezio Micelli, docente di estimo presso l’Università Iuav di Venezia e Paola Pellegrini, docente di urbanistica in Cina, presso la Xi’an Jiaotong-Liverpool University e presentata in anteprima da Casa24. Sotto la lente d’ingrandimento dieci città ubicate fra Veneto, Lombardia, Friuli e Trentino (ma l’indagine si è già allargata anche a osservare cosa accade in Emilia Romagna e Toscana). Comuni di media grandezza (da 30mila a 200mila abitanti), tutti caratterizzati dalla presenza di un centro antico. L’osservazione, per avere un dato consolidato, è stata compiuta a partire da un’elaborazione dei censimenti Istat del 1991 e il 2011. Il risultato è un punto di vista alternativo al mito dell’incrollabile appeal delle old town. «I centri si spopolano», affermano gli autori della ricerca, che sarà pubblicata in modo integrale sulla rivista Territorio. Solo nei principali comuni oggetto dell’indagine (Trento, Udine, Pordenone, Bassano del Grappa, Conegliano, Rovereto, Vicenza, Treviso, Mantova e Brescia) sono stati mappati 13.282 alloggi inutilizzati. Moltiplicati per una superficie media di 90 mq e un valore prudenziale unitario di 1.500 euro le “perdite” ammontano ad almeno 1,8 miliardi. «Il paradosso è assistere all’abbandono di quelle porzioni di città che più di altre hanno goduto negli anni di investimenti della collettività – considera Micelli –. Non si tratta di un fenomeno che riguarda aree delimitate o specifici palazzi, ma che è diffuso in modo capillare e, per questo, è tanto più evidente e rilevante». Prendiamo il caso di Treviso. Nel periodo di tempo osservato, la percentuale degli alloggi inutilizzati è passata dal 21,3% al 41,8%. È cioè letteralmente raddoppiata. Addirittura maggiore il delta rilevato a Udine nella Ztl: si passa dal 15,7% al 37,9%. Lo stesso capita se ci spostiamo a Sud. Ad Arezzo, presa l’intera zona antica, si passa dal 12,5% al 20,7. «È vero – commenta Pellegrini – che nelle città esaminate il calo è anche demografico, ma con trend non paragonabili alle percentuali di unità vuote. Laddove l’abbandono è rimasto più contenuto, si è assistito a un aumento sensibile di stranieri. Così, ad esempio, a Brescia, dove la presenza di cittadini in arrivo dall’estero supera nel centro anche il 30%». Per ciò che riguarda le imprese, se in certe città aumenta il numero di attività, cala però (di quasi il 22%) quello di addetti coinvolti. Così come la quota di servizi: un effetto anche della dematerializzazione di banche e poste. «Le cause sono molteplici. La difficoltà a ristrutturare un appartamento inserito in un palazzo storico secondo i desiderata degli utenti o la scarsa accessibilità sotto l’aspetto logistico. E ancora – prosegue Micelli – l’apertura indiscriminata di locali e l’iperspecializzazione del centro con attività che richiamano molto pubblico in fascia serale o nei fine settimana. Con conseguenti problemi di parcheggio e rumore». Se dal 2011 ci spostiamo nell’attualità la situazione evolve ancora. «Ci sono territori in cui gli investimenti hanno dato ottimi risultati – commenta Francesco Bandarin, presidente dell’Ancsa, l’associazione nazionale centri storico-artistici e vicedirettore generale per la culturale dell’Unesco – mentre altri soffrono di più. Di certo, un cambiamento epocale è l’effetto di due fenomeni, che arrivano dall’estero e sono amplificati dalla rete. Mi riferisco ad app come Airbnb, e ai voli low cost. Due attori potentissimi che stanno rivoluzionando la situazione e che i comuni fanno fatica a governare, non avendo neppure strumenti adatti». Gli effetti dello “spopolamento” dei centri storici iniziano a farsi sentire anche sul fronte più strettamente immobiliare: da Udine a Treviso, da Vicenza ad Arezzo, a fronte di un generale calo di tutte le quotazioni, il centro ha perso nell’ultimo anno più valore rispetto al semicentro. C’è anche da osservare che in città come Treviso la differenza fra le due zone è di 3.200 euro al mq contro 2.200: circa il 46%. A determinare l’abbandono è, dunque, anche la progressiva perdita di potere d’acquisto da parte del ceto medio, un trend riscontrabile anche a livello globale, come tra l’altro messo in luce dall’articolo “Se le città perdono i ceti medi” pubblicato il 20 settembre sul Sole 24 Ore. «Se un tempo si ambiva maggiormente a vivere nei centri storici – spiega Carlo Giordano, ad di immobiliare.it – oggi chi compra casa preferisce tagli di immobili più moderni, a costi più contenuti e possibilmente ben collegati con i mezzi pubblici. Una tipologia di offerta che si reperisce con maggiore facilità nelle zone del semicentro o della prima periferia. Inoltre appartamenti e stabili dentro la cerchia del centro sono spesso vincolati dal loro valore storico e artistico che limita eventuali progetti di ristrutturazione e che li rende meno appetibili per l’acquirente medio». Per arrivare a un’analisi che dia ai comuni strumenti di governance occorre, adesso, allargare il punto di osservazione. Ideale evoluzione del lavoro compiuto da Micelli e Pellegrini sarà una ricerca che l’Ancsa insieme al Cresme sta sviluppando su una mappatura su 109 città in Italia

Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
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