fabbricati rurali in costruzione”
L’addio all’immobile inutile non piace allo Stato
Sembra che lo Stato proprio non gradisca di diventare proprietario di beni immobili a seguito della rinuncia al diritto di proprietà da parte del proprietario: l’indicazione arriva in una nota del 15 marzo 2018 del ministero della Giustizia (Ufficio centrale archivi notarili) che dà conto di una nota (prot. n. 137950 del 14 marzo 2018) dell’Avvocatura generale dello Stato. Il ministero spiega che l’Avvocatura ha esaminato «le principali problematiche» circa «l’ammissibilità» della rinuncia, dei «limiti che potrebbero riscontrarsi» e dei suoi «effetti». L’Avvocatura, inoltre, evoca possibili cause di nullità della cosiddetta rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare e la possibile responsabilità del rinunciante per i danni a cui questi abbia dato causa con il fatto proprio omissivo. Documenti meno recenti sulla poca disponibilità dello Stato di divenire proprietario di immobili a seguito di rinuncia sono, ad esempio, una raccomandata della Direzione regionale del Lazio dell’agenzia del Demanio (prot. 4854/2017 del 26 ottobre 2017) e, anteriormente, una nota della Avvocatura distrettuale dello Stato della Toscana (prot. n. 22239/2007 del 12 marzo 2008). Tutto nasce, in diritto, dalla considerazione che l’articolo 827 del Codice civile afferma l’appartenenza al patrimonio dello Stato dei «beni immobili che non sono di proprietà di alcuno»; e, nell’esperienza quotidiana, dal fatto che il proprietario di un bene immobile a volte ritrae, da questa situazione, uno stato di disagio se non di svantaggio: si pensi al caso in cui un soggetto erediti un fabbricato fatiscente oppure un appezzamento di terreno sperduto in un territorio montano, che siano invendibili (perché nessuno voglia comprarli, anche per un prezzo solamente simbolico) e di cui il proprietario non sappia che farsene. Per non parlare del tempo occorrente per occuparsene o della necessità di investire denaro per manutenzioni, riparazioni o radicali ristrutturazioni. Gli immobili possono essere “fastidiosi” anche perché producono non solo tassazione in capo al rispettivo proprietario, ma pure la sua responsabilità civile nel caso in cui da essi derivi un danno a terzi (come quando un albero cada sulla proprietà altrui o un fabbricato, a causa di un crollo, danneggi un passante, eccetera). Anche se, a prima vista, l’affermazione sembra strana, alla proprietà (o alla quota di comproprietà) “fastidiosa” in effetti dovrebbe potersi legittimamente rinunciare (come, d’altronde, a un qualsiasi altro diritto): una confortante assicurazione in questo senso è rappresentata da uno studio del Consiglio nazionale del Notariato (lo studio n. 216-2014/C del 21 marzo 2014), elaborato a fronte della circostanza che, in situazione di crisi economica, non pochi sono stati, in tutta Italia, i casi in cui è stata professionalmente prospettata la questione di come potersi liberare da proprietà non volute. In altre epoche, nelle quali le tasse locali erano di minore impatto e dove il miglior tenore di vita non sollecitava riflessioni del genere, il problema della proprietà fastidiosa non si poneva. Oggi, invece, avere a che fare con immobili di nessuna utilità e, anzi, produttivi di costi e patemi, sollecita a dismettere queste proprietà. Ma si può rinunciare al diritto di proprietà? E cosa succede in caso di rinuncia? Come già osservato, il diritto di proprietà rinunciato diviene di titolarità dello Stato (articolo 827 del Codice civile); invece, se si rinuncia a una quota di comproprietà, questa rinuncia provoca un’espansione del diritto di comproprietà degli altri comproprietari. Costoro, se a loro volta non gradiscono l’altrui rinuncia, non possono certo impedirla, ma possono pur sempre rinunciare alla rispettiva loro quota di comproprietà, e ciò fino a che il bene già oggetto di comproprietà non divenga di proprietà di un unico comproprietario. Questi può, infine, rinunciare al suo diritto con l’effetto, anche qui, che del bene in questione diviene proprietario lo Stato. Resta da vedere, tuttavia, come la nota dell’Avvocatura dello Stato impatterà su una prassi consolidata fondata sul Codice civile. Il testo del 14 marzo, infatti, invita da un lato il rinunciante a comunicare il relativo atto al Demanio e, dall’altro, – per il tramite dei Consigli notarili – fa “pressing” sui notai che ricevono atti di rinuncia a fare altrettanto in modo che il competente ufficio del Demanio possa «adottare tutte le iniziative opportune anche a tutela della pubblica incolumità, nelle more dell’eventuale esperimento dell’actio nullitatis».
Commissione 8 “Condominio – Fisco Immobiliare”
geom. Maurizio Verdi
Collegio e Associazione Geometri
della Provincia di Reggio Emilia