Gli obblighi che incombono sul datore di lavoro nei confronti dei propri lavoratori non possono comunque venire meno anche nel caso di un rapporto fra padre e figlio in una impresa familiare Un’importante sentenza della Cassazione Penale, la n. 38118 del 27 ottobre 2010, sancisce la definizione sia di datore di lavoro che del lavoratore ai fini della applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro. Secondo la Corte, l’individuazione della figura del datore di lavoro non si fonda tanto sulla presenza di un rapporto di lavoro quanto sulla responsabilità di un organizzatore di impresa e sulla sua titolarità di fatto dei poteri decisionali e di gestione alle quali corrisponde simmetricamente il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza sul lavoro.D’altro canto il lavoratore non si individua solo in una condizione di dipendenza e di una sua subordinazione rispetto ad altri ma può basarsi anche solo sul fatto che lo stesso presti una attività lavorativa per conto di colui che gestisce la organizzazione della struttura essendo questa relazione di fatto che determina l’applicabilità delle disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione in questa sentenza, riguarda un rapporto di lavoro fra padre e figlio: il padre è stato riconosciuto colpevole del delitto di omicidio colposo, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno del proprio figlio, caduto da una scala portatile appoggiata a un silos. Al padre è stato contestato di aver cagionato la morte del figlio per imprudenza, per non aver fornito al proprio figlio, assunto quale collaboratore familiare presso la sua ditta, una scala dotata di tutti i dispositivi di sicurezza idonei a impedire lo scivolamento; nonché per non avere disposto che la stessa scala fosse trattenuta al piede da altra persona presente sul luogo; per aver mancato di disporre che la scala venisse vigilata da terra da altra persona.Il padre ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione sostenendo, tra l’altro, di non avere nei confronti del figlio nessun dovere di vigilanza, essendo, lo stesso, non un lavoratore dipendente o subordinato ma un collaboratore familiare.Il ricorso è stato considerato inammissibile dalla Corte di Cassazione che ha pertanto confermata la condanna dell’imputato. La suprema Corte ha rammentato: “l’indefettibilità degli obblighi che comunque incombono sul datore di lavoro e titolare della posizione di garanzia qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi’. In un’altra circostanza simile, la suprema Corte ebbe modo di precisare: “la disciplina legale e particolarmente la normativa in materia di sicurezza tutela la sicurezza di tutte le forme di lavoro anche quando non sussista un formale rapporto di lavoro; e quindi anche con riguardo a chi collabora saltuariamente in un’impresa familiare”.geom. Gibertini